Portfolio Fotomotografico
Presento venti immagini significative della mia ricerca fotomotografica.
Per sapere di più sulla fotomotografia visita la pagina ad essa dedicata.
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Rissa pre-determinata #3 (2008) Mi sono gettato a terra per sentire il ritmo del corpo, il legno sotto le mani, il tempo che sfugge. Intorno, figure in movimento: presenze sfocate, come pensieri in corsa. La luce mi ha colto nel gesto, nel passaggio. Non è posa: è urgenza, è scena che accade e mi attraversa.
Miserere (2009) Ho visto emergere un’ombra, come una lama o una croce, sospesa nel buio. Non l’ho cercata: mi ha trovato. La superficie vibra, il segno si confonde. È una visione, non un oggetto. Un’apparizione che interroga, che taglia il tempo, che resta impressa come un dubbio, non come una risposta.
Il giardino oltre il fuoco (2009) Ho attraversato il colore come si attraversa una soglia. Il fuoco non brucia: trasfigura. In questa immagine, ogni forma si dissolve, ogni confine si apre. È il giardino che immagino oltre la prova, oltre la fiamma. Non descrivo il paradiso: lo inseguo, lo sfioro, lo lascio accadere nella luce.
Partire è moltiplicarsi (2009) “Partire è moltiplicarsi” perché ogni gesto si sdoppia, ogni pensiero si rifrange. In scena è uno, ma tutte le versioni di sé che esitano, ricordano, si slanciano. La valigia gialla non contiene oggetti: contiene possibilità. È il suo corpo che si divide per poter andare, intero, altrove.
Lei moltiplicata (2009) Mi sono mosso nel buio, lasciando che il gesto si moltiplicasse. Ogni frammento di lei è voce, eco, intenzione. Non c’è posa: c’è attraversamento. Il corpo vibra, si sdoppia, si dissolve. Recita nel tempo che sfuma, nella luce che la interroga. È “Lei, moltiplicata” — presenza che non si lascia afferrare.
La banda (2009) Ho inseguito il suono con lo sguardo: la banda in movimento, le divise bianche, il ritmo che vibra nell’aria. Il mosso non è errore, è musica visiva. Ogni figura sfuma, si fonde. Non fotografo persone: fotografo il tempo che suonano, la memoria che si muove, il gesto che resta.
"Cronofonia #2" (2024)Suonava, ma il tempo lo attraversava. L’immagine non lo ritrae: lo dissolve. Il suo corpo vibra come l’aria, l’armonia si fa fantasma. Non c’è posa, solo passaggio. I volti alle pareti lo osservano, immobili, mentre lui si moltiplica nel gesto. È così che si riconosce: nel movimento che sfugge.
La Quadriglia #2 (2024) La quadriglia si dispiega in un abbraccio di ombre e slanci. I corpi si intrecciano, sfocati dal ritmo, come note in fuga. La fotografia non ferma il gesto: lo amplifica. È danza che vibra nel bianco e nero, memoria condivisa che pulsa, si dissolve, e ritorna nel battito collettivo.
Natura morta resuscitata (2009) Ho lasciato che il calore mi guidasse: forme rotonde, indistinte, immerse in un bagliore arancio. Non cercavo nitidezza, ma vibrazione. Ogni frutto si è fatto sogno, combustione, memoria. È un’immagine che non descrive: evoca. Un fuoco quieto, una sospensione. Fotografo ciò che sfuma, ciò che resta dopo lo sguardo.
“Cronofonia” (2024) È il suono che si fa tempo, il tempo che vibra nella materia. Ho cercato di fotografare il ritmo, non l’oggetto. Le mani sfuggono, si moltiplicano, diventano eco. La fisarmonica non è più strumento, ma onda. In quell’istante, ho ascoltato la luce mentre suonava.
Concerto per ombre e fiati (2024) Quattro figure si muovono come ombre sonore, sfocate dal tempo e dalla luce. Il gesto musicale si fa eco visiva, dissolto nell’istante. Non c’è scena, ma vibrazione. I volti si confondono, gli strumenti si fondono. È un concerto per fantasmi, dove la presenza è già memoria in fuga.
Ballano, dunque svaniscono (2024) Corpi sfocati danzano in un tempo che non si misura. La fotografia cattura il ritmo, non la forma: è il movimento a parlare. Ogni figura è traccia, eco, presenza che si dissolve. È una festa sospesa, dove la luce vibra e la memoria si fa gesto collettivo in fuga.
La Benemerita (2025) Tre figure avanzano, sfocate dal tempo e dal passo. I carabinieri non sono ritratti: sono presenze in transito, ombre uniformate che attraversano lo spazio. La fotografia non documenta, evoca. È movimento, tensione, anonimato. Il gesto si dissolve, ma resta l’impronta: un’eco visiva di autorità che sfugge alla definizione.
Il corso di sera (2025) È un flusso di luci, passi, ombre. La città non si mostra: pulsa. I volti sfumano, le traiettorie si intrecciano. È una danza urbana, un respiro collettivo. La fotografia cattura l’anima del movimento, dove ogni figura è tempo, ogni lampo è memoria che attraversa la notte.
Le Maschere (2025) Le maschere avanzano come apparizioni, sfocate dal ritmo e dalla festa. I volti si perdono nel movimento, ma la presenza resta: vibrante, enigmatica. È una sfilata che non mostra, evoca. Il carnevale si fa sogno visivo, dove ogni figura è simbolo, ogni passo è rito, ogni sfocatura è poesia
Le Maschere #2 (2025) Due maschere emergono dal buio, ornate e sfocate, come visioni in cammino. Il movimento le trasfigura: non sono volti, ma simboli. La fotografia non descrive, evoca. È carnevale che si fa sogno, rito che vibra tra piume e silenzi. Ogni passo è metamorfosi, ogni figura è tempo che danza.
La Pasquella (2025) Due figure emergono dal mosso, cantano la Pasquella come se il tempo si piegasse al rito. I volti sfumano, ma la voce resta: vibra nell’aria, nell’eco dell’organetto. È tradizione che si fa immagine, canto che attraversa il corpo. I pasqualotti danzano tra luce e memoria, vivi nel gesto.
In Gelateria (2025) Un gesto quotidiano si trasforma in visione. Il volto si moltiplica, le mani si sdoppiano: mangiare diventa rito, memoria, sogno. La fotografia non mostra, suggerisce. Tra dolcezza e distorsione, il tempo si piega. È un ritratto in movimento, dove il piacere si confonde con l’eco di ciò che è stato.
Polka (2025) È un’esplosione di ritmo visivo. L’organetto pulsa, il corpo si sdoppia, si moltiplica nel gesto. Il volto è movimento, non identità. La fotografia danza con chi suona: vibra, si piega, si dissolve. È musica che si fa immagine, tradizione che si reinventa nel battito sfocato di un istante.